IL SEGRETO DEI PIRATI (II Parte)

IL SEGRETO DEI PIRATI (II Parte)

Cultura e Società postato da DeaMedia1972 || 10 anni fa

 

Giuseppe Sanguedolce (Tratto dal libro Isola d’alto Mare Lampedusa)

 



Andrea Anfossi, era
stato soprannominato "il Gagliardo" perché, prima di arrendersi, armato di una spranga di ferro, aveva ferito molti pirati. Tuttavia la sua prigionia non durò a lungo. Durante uno scontro avvenuto nei pressi dell'Isola di Lampedusa fra Dragut e Kheyr el- Din detto "Barbarossa", quest'ultimo riuscì a fuggire affondando quattro casse piene di mercé razziata. Dragut, immaginando che si trattasse di oggetti preziosi, inviò il suo luogotenente Ucciali, insieme ad altri prigionieri, fra i quali Andrea Anfossi, per recuperare il probabile tesoro. Giunto a terra Andrea fuggì nascondendosi nel "Vallone del Santuario". Qui due pastori eremiti lo trovarono e lo sfamarono. Andrea ripresosi, prima di lasciarli, promise loro che, se avesse trovato il tesoro affondato da Kheyr el-Din, li avrebbe ricompensati. Il giorno dopo, inoltratosi nel Vallone, Andrea scoprì, nascosta fra le rocce, una grotta, nel cui interno era custodita una tela su cui era dipinta l'immagine della Madonna. Usando quella tela come una vera e propria vela, il giovane Anfossi riuscì a tornare a casa e per riconoscenza fece in seguito erigere il Santuario di Castellare Ligure, proprio quello che io avevo visitato.

 

Avrei voluto continuare la lettura ma, stranamente, il libro del Parroco non aveva più pagine. Erano state strappate per far in modo che nessuno potesse scoprire il luogo in cui era stato nascosto il tesoro di Kheyr el-Din e se, infine, Andrea Anfossi lo avesse trovato.

 

La mia ricerca sembrò fermarsi a quel punto. Nonostante le mie ricerche non c'erano altri libri che mi dessero notizie di quel tesoro. Dovevo assolutamente trovare nuovi documenti. Nel 1996 decisi così di tornare a Castellare Ligure per un'altra visita al Santuario in cui, anni prima, avevo ammirato con devozione l'immagine della Madonna di Lampedusa.

 

Osservando adesso il quadro, con un'attenzione maggiore, vi notai dei disegni che rappresentavano le insenature dell'isola di Lampedusa e all'interno di esse era tracciata una curiosa scritta in lingua francese.

 

La mia ricerca era ormai divenuta una specie di puzzle i cui pezzi mancanti andavano adesso trovati lontano. Dieci giorni dopo volai in Francia. A Parigi, nella Biblioteca di Stato, in un libro di "Jean de Jonville" trovai i primi elementi di una storia destinata a diventare famosa nel XVI secolo. Jonville fu il cronista di Luigi IX di Francia, approdò con il Re a Lampedusa nel lontano 1254, di ritorno dalla Terra Santa dove aveva partecipato alla VI Crociata.

 

Nella sua cronaca egli raccontò che, partiti dall'Isola di Cipro, approdarono su di un'isola chiamata Lampedusa. Scesi per fare provviste d'acqua e di selvaggina trovarono, dentro una grotta nascosta fra le rocce, le tracce di un antico eremitaggio. Era quella una grotta particolare, divisa in due cavità. Era stata un tempo utilizzata come oratorio e lo spazio antistante era circondato da ulivi e fichi e nelle vicinanze scorreva un rivolo di acqua dolce. All'interno dell'oratorio la prima grotta aveva la volta imbiancata a calce, mentre sul pavimento vi era dipinta una croce di colore vermiglio. Jonville descrisse anche un dipinto lì collocato dai Crociati durante la Guerra Santa tra oriente e occidente. Il quadro ritraeva una donna con un bambino in braccio (la Madonna) e un'altra donna con una corona regale sul capo (Santa Caterina). Per Jonville si trattava della icona miracolosa della Signora di Lampedusa, l'icona grazie alla quale Andrea Anfossi avrebbe salvato la propria vita. Nella seconda cavità, quella più interna, venne trovata una piccola tomba contenente i resti di due esseri umani. Le ossa erano ancora ben composte e le mani, poggiate sul petto, erano rivolte ad oriente. La posizione dei due scheletri non lasciava dubbi sull'appartenenza di quelle due persone al culto islamico. Forse erano due marabutti venerati, sepolti e custoditi da eremiti musulmani. Jonville ritenne quindi che la prima grotta fosse un luogo di culto cristiano mentre, quella più interna fosse riservata ai musulmani. Si trattava quindi di un luogo destinato alla osservanza di due religioni ben distinte ma ugualmente rispettate pur nella loro diversità.