Il trattato sul nucleare iraniano, sottoscritto nel 2015 da Iran, Unione Europea, Germania e dai membri permanenti delle Nazioni Unite: USA, Cina, Francia, Inghilterra e Russia aveva lo scopo di im...

Estero postato da monitoreinter || 3 anni fa

Il trattato sul nucleare iraniano, sottoscritto nel 2015 da Iran, Unione Europea, Germania e dai membri permanenti delle Nazioni Unite: USA, Cina, Francia, Inghilterra e Russia aveva lo scopo di impedire la proliferazione degli armamenti nucleari nella Repubblica islamica, garantendo a Teheran una minore pressione delle sanzioni economiche già imposte da Washington. Con l’elezione di Trump, gli USA invertirono il proprio comportamento adottando l’abbandono unilaterale dal trattato, con il conseguente reinserimento di nuove sanzioni energetiche e finanziarie contro l’Iran e contro chi avrebbe mantenuto rapporti commerciali con Teheran. Il cambiamento di atteggiamento americano, condizionato dalla vicinanza strategica di Trump con Israele ed Arabia Saudita, fu caratterizzato dalla così detta strategia di massima pressione, che secondo l’ex presidente degli Stati Uniti, avrebbe dovuto portare ad azzerare la volontà di possedere armamenti nucleari iraniana, mediante una politica di sanzioni più dura. In realtà, Teheran, pur sottoposto ad una situazione particolarmente pesante a causa dell’aumento dell’inflazione, del deprezzamento della propria moneta e di una grave recessione, provocate dall’atteggiamento della Casa Bianca, ha intrapreso una politica di arricchimento dell’uranio, sviluppando una tecnologia, che seppure non è stata ancora in grado di arrivare alla creazione della bomba atomica, ha creato grave apprensione, sia a livello regionale, che globale. Il fallimento della strategia statunitense di Trump, e dei suoi alleati israeliani e sauditi, ha compreso anche l’innalzamento del livello della tensione causato dagli attentati in cui sono morte personalità iraniane coinvolte nei programmi di ricerca per l’arricchimento dell’uranio. Il nuovo presidente americano Biden, fin dalla campagna elettorale, ha inserito nel proprio programma di politica estera la possibilità del rientro degli USA nell’accordo sul nucleare iraniano, valutando negativamente le conseguenze dell’uscita che si sono concretizzate in un isolamento internazionale degli Stati Uniti e nella maggiore precarietà degli equilibri regionali. Biden ha chiesto un cambio di atteggiamento preventivo degli iraniani, con una riduzione dell’attività nucleare, in cambio del quale l’Iran ha proposto una prima riduzione delle sanzioni, come segno tangibile di buone intenzioni per la prosecuzione delle trattative. A questo scopo sarà anche fondamentale la ripresa del dialogo tra i funzionari iraniani e l’Agenzia per la ricerca atomica, per favorire le ispezioni delle centrali nucleari; a questo scopo fin dal prossimo mese di aprile si aprirà un ciclo di incontri per stabilire reciprocamente le regole delle ispezioni; frattanto il presidente iraniano ha deciso autonomamente di sospendere le operazioni per l’arricchimento di uranio, che ha determinato il ritiro della mozione di sfiducia di alcuni paesi europei contro l’Iran, proprio presso l’Agenzia atomica. I segnali di distensione sembrano indicare la possibilità della ripresa pratica dell’accordo, grazie anche all’impulso dell’azione di stati come la Germania e la Russia, che si sono esposte per ripristinare la situazione precedente all’ascesa di Trump alla Casa Bianca, tuttavia lo sviluppo positivo potrebbe essere garantito soltanto dalla permanenza di Biden o comunque di un democratico nella più alta carica statunitense. Come dimostrato, infatti, dall’assurdo comportamento di Trump, il ritiro unilaterale dall’accordo non ha comportato alcuna sanzione per che questo ritiro ha effettuato, contravvenendo alla firma ed agli impegni assunti dal proprio, senza una violazione accertata da parte di Teheran, ma soltanto per una diversa valutazione politica dell’accordo stesso. Questa situazione, quindi può garantire quattro anni di mantenimento dell’accordo, ma non può impedire la situazione che si è creata con Trump. Nonostante questa considerazione, che deve essere tenuta comunque ben presente, bisognerà favorire in questo lasso di tempo un differente approccio con l’Iran, permettendo alla sua economia di crescere, in maniera di favorire la creazione di una rete di legami, sia diplomatici, che commerciali, in grado di garantire una differente modalità di considerare l’arma atomica da parte degli iraniani. Se Teheran si atterrà al rispetto della non proliferazione nucleare per tutto questo periodo conseguirà una credibilità sufficiente a non provocare il ritiro unilaterale, anche di fronte ad una rielezione di Trump o di un suo emulo. Pur restando sostanziali differenze e contrasti in politica estera con l’occidente, l’obiettivo di non avere una nuova bomba atomica in una regione così delicata del mondo, deve essere conseguito con una priorità assoluta.

Fonte: https://monitoreinternazionale.blogspot.com/2021/03/gli-usa-vicini-al-rientro-nellaccordo.html