Il dissesto della Silicon Valley Bank

Economia postato da radiouese || 1 anno fa

Criptovalute e la crisi della Silicon Valley Bank . Luciano Quarta , avvocato amministrativista e tributarista , esperto in criptovalute, ne parla al premio “L’Impresa Virtuosa” , evento tenutosi il 30 Marzo 2023 presso il Leonardo Royal Hotel a Venezia , organizzato dall’A.N.P.I. (Associazione Nazionale Piccola Impresa). Criptovalute e la crisi della Silicon Valley Bank Avv. Luciano Quarta Il dissesto della Silicon Valley Bank viene comunemente associato ai molti crac di piattaforme di exchange di criptovalute che si sono susseguiti negli ultimi mesi (a partire dal caso clamoroso di FTX), e più in generale alle criptovalute. Per i molti detrattori delle criptovalute e della cosiddetta criptoeconomia, è un’occasione perfetta per rimarcare la rischiosità, l’assenza di sottostanti e, in definitiva, la mancanza di sostanza economica di questo genere di asset. Non sono un economista, quindi non mi avventurerò, in troppe analisi finanziarie. Quello che però è ormai pressoché di dominio pubblico è che la crisi che ha investito la Silicon Valley Bank non ha nulla a che vedere con le criptovalute in se stesse, con la loro volatilità, o con aspetti specifici legati all’architettura decentralizzata e alle caratteristiche tecnologiche che fanno della tecnologia blockchain (alla base di ogni asset crittografico) un sistema tipicamente trustless. Secondo le analisi che si leggono sulle principali testate del settore e secondo l’opinione condivisa dai maggiori esperti, infatti, la crisi dell’istituzione bancaria statunitense trova il suo fattore chiave nell’improvviso incremento dei tassi di interesse che ha posto in estrema difficoltà il mercato di riferimento di quella banca, costituito per lo più da start-up tecnologiche. A ben vedere, però, un fattore in comune che lega vicende come quella di Silicon Valley Bank, con le bancarotte e i dissesti dei vari exchange crypto (a partire da FTX per arrivare fino a The Rock Trading) in realtà c’è, ed è anche piuttosto paradossale. Il tratto comune, per quanto paradossale possa sembrare, è che le criptovalute, la blockchain e ancor più gli aspetti di disintermediazione e di decentralizzazione, non hanno alcun ruolo sulle le cause di alcuno di questi dissesti o situazioni di insolvenza. Chiariamo meglio Innanzitutto, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, tutte le piattaforme coinvolte in queste traumatiche vicende erano dei veri e propri intermediari centralizzati, e non decentralizzati. Questo al di là del fatto che negoziassero asset crittografici. Quando ci si rivolge ad una piattaforma classica, come Binance o Coinbase, tra le più conosciute, in pratica ci si rivolge ad un intermediario (quindi ad un soggetto centralizzato) che negozia per noi l’acquisto e la rivendita di asset. In questo caso si tratta di criptovalute, ma essi operano esattamente nello stesso modo in cui operano piattaforme di trading su qualsiasi altro genere di asset: valute fiat, titoli azionari, obbligazionari, commodities, eccetera. A questi soggetti affidiamo il nostro denaro perché lo convertano in qualcos’altro e, per definizione, non perdono mai perché incassano delle commissioni sulle operazioni effettuate. E questo, indipendentemente dal fatto che quell’asset o titolo acquisti oppure perda valore; che sia volatile o non lo sia affatto; che abbia un solido sottostante o che sia carta straccia.Allora perché questi exchange sono falliti? Tutte le analisi sul caso FTX, ma anche sul caso Celsius o sul caso BlockFi, tra i molti, ci dicono che la ragione dei vari dissesti è da ricondurre essenzialmente ad un cattiva governance, cioè in pratica, ad un cattivo uso del denaro. Questi soggetti, per semplificare all’estremo, hanno utilizzato male, non solo i guadagni che maturavano sulle operazioni di negoziazione di asset crittografici, ma gli stessi fondi che venivano loro fiduciariamente affidati dai loro clienti. In questa prospettiva, è irrilevante che li abbiano impiegati in investimenti a rischio che non hanno portato i frutti sperati, che li abbiano utilizzati arbitrariamente per alimentare con finanziamenti incrociati altre entità collegate, o che li abbiano semplicemente sperperati in beni di lusso, come ville alle Bahamas, feste e Lamborghini da mettere nei garage dei manager, o qualsiasi altra cosa. Così come è irrilevante, rispetto a queste forme di palese mala gestio che negoziassero asset crittografici, asset e strumenti finanziari convenzionali, commodities, o patate e zucchine. Il punto nodale è che, rispetto al connotato proprio della finanza crittografica, l’asse della fiducia si è spostato. Quest’asse è passato dalle caratteristiche tecnologiche proprie della rete di nodi che costituisce una blockchain (cioè un sistema che viene concepito e nasce per essere trustless, per sostenersi attraverso meccanismi di verifica automatizzati e ineluttabili, che prescindono dal controllo umano) ai soggetti a cui questi asset crittografici venivano affidati. Con fiducia evidentemente mal riposta. Ed è qui che parliamo di diritto. La prima constatazione è che, il sistema normativo (a livello di singoli ordinamenti nazionali, ma anche a livello sovranazionale, europeo e globale), e di conseguenza i sistemi di regolazione di vigilanza e controllo nei vari ordinamenti, evidentemente hanno fallito. Hanno fallito laddove non hanno saputo imporre per questo particolare tipo di soggetti che si rivolgono massivamente al risparmiatore e all’investitore (per lo più non professionale) specifici requisiti soggettivi (in termini di adeguate garanzie patrimoniali, di requisiti di professionalità ed onorabilità) per accedere a questo tipo di mercato, esattamente come si fa per gli intermediari bancari e finanziari di tipo convenzionale. Hanno fallito laddove non hanno saputo imporre (sempre per questo tipo particolare di soggetti) regole di condotta e di governance, in termini di trasparenza delle condotte e di prescrizioni ferree sugli impieghi, sulla costituzione di riserve e garanzie, di specifici capital risk ratios, ancora una volta, come si fa per intermediari bancari e finanziari di tipo convenzionale. Le istituzioni europee si stanno muovendo in questo senso e vedremo nei fatti se la regolamentazione europea di prossima adozione (nello specifico, il famoso MiCAR, Market in Crypto Asset Regulation) sarà in grado di fornire tutele adeguate a risparmiatori e investitori. La seconda considerazione è che, anche in un settore fortemente presidiato, com’è quello della banca e della finanza convenzionale, i casi di mala gestio che hanno portato all’implosione di entità bancarie e finanziarie di tipo convenzionale sono tristemente numerosi. Un lungo bollettino di guerra che può cominciare dalla crisi dei subprime, con il fallimento di JP Morgan e arriva ai giorni nostri, e persino in casa nostra, laddove nell’ordinamento italiano il ruolo della vigilanza bancaria e finanziaria ha radici profonde e la tutela del risparmiatore è cristallizzata persino nella Costituzione: Montepaschi, Banca Etruria, Banca Popolare di Bari, e via dicendo. Anche in questo caso il sistema ha fallito, a dispetto di un vasto spiegamento di norme, apparati e organi di controllo e vigilanza, tra cui vanno incluse anche società di rating e di revisione legale che, comunque sia andata, di fatto nulla hanno potuto per impedire eventi che hanno fatto collassare interi settori economici, a partire da quello del real estate, e travolto milioni di risparmiatori incolpevoli. Quindi, per tornare al caso di Silicon Valley Bank, si tratta di una vicenda rispetto alla quale ha più senso cercare i tratti in comune, ad esempio, con il caso, pure di questi giorni, di Credit Suisse, che non agitare lo spettro della volatilità e della inconsistenza economica degli asset crittografici. La prova indiretta sta nel fatto che il mercato delle criptovalute, soprattutto di quelle storiche, e del bitcoin in particolare, ha retto benissimo all’impatto del dissesto di Silicon Valley Bank. Proprio le quotazioni di bitcoin, infatti, dopo un primo sussulto hanno ripreso a salire significativamente. Ora, per trarre alcune conclusioni, quando si pensa a questo mondo, prima di lasciarsi andare al panico e alla diffidenza, occorre considerare le peculiarità della tecnologia che è alla base delle criptovalute (cioè la blockchain e le tecnologie a registro distribuito in generale); occorre considerare le enormi potenzialità degli smart contract, che consentono di automatizzare un’ampia gamma di operazioni, processi e transazioni; occorre considerare che queste tecnologie possono avere importanti applicazioni anche al di fuori del campo strettamente monetario e finanziario; occorre considerare infine che la funzione originaria delle criptovalute è quella di fungere da mezzo di pagamento disintermediato, al di là del fatto che in molti (più o meno impropriamente) si rivolgano a questo tipo di asset a scopi di mera speculazione. Tutti questi ingredienti, sapientemente dosati, possono consentire di arrivare alla creazione e al consolidamento di un mercato di servizi finanziari e di pagamento alternativi a quelli bancari o finanziari convenzionali, con una serie di caratteristiche inedite, in alcuni casi anche miglior E occorre anche non dimenticare, che nel settore della cripto economia trovano impiego migliaia di professionalità ad elevato valore aggiunto, nel settore tecnologico, in quello della comunicazione, e così via. È responsabilità dei decision makers (siano essi legislatori o regolatori) saper cogliere e valorizzare questo tipo di opportunità, formulando regole equilibrate, in grado di fornire garanzie adeguate senza tuttavia stringere un cappio e soffocare un fenomeno, per il sol fatto che non lo si comprende a fondo.

Fonte: https://radiouese.com/criptovalute-e-la-crisi-della-silicon-valley-bank/