Il problema di aderenza e persistenza: definizione, come si misurano? Risponde Francesco Vittorio Costa, cardiologo, professore associato di medicina interna, Presidente ASIAM (Associazione Interdisciplinare...

Il problema di aderenza e persistenza: definizione, come si misurano?

Medicina e Salute postato da puntoinformativofarmaco || 9 anni fa

Risponde Francesco Vittorio Costa, cardiologo, professore associato di medicina interna, Presidente ASIAM (Associazione Interdisciplinare Aggiornamento Medico).


Quali sono i fattori condizionanti, l’impatto sull’esito delle terapie?

Il risultato di una terapia, soprattutto di quelle croniche, dipende essenzialmente dal fatto che il paziente le esegua correttamente (aderenza) e le continui per tutto il tempo necessario (persistenza). 

Aderenza e persistenza a loro volta dipendono da una serie di fattori riconducibili sostanzialmente a tre punti fondamentali: il medico, il paziente, il tipo di trattamento. Un buon rapporto medico-paziente, la consapevolezza da parte di entrambi della necessità della terapia, dei risultati positivi che con essa si potranno ottenere, sono il presupposto indispensabile per il successo. Altrettanto importante è il tipo di trattamento prescritto. Perché il paziente sia aderente e persistente, esso deve essere efficace, ben tollerato e semplice da eseguire. 


È così differente l’indice di aderenza tra branded e generici? Perché?

L’aderenza al trattamento, come ricordato, dipende dall’efficacia, dalla tollerabilità e dalla semplicità dello schema terapeutico. I farmaci generici possono associarsi a minori aderenza e persistenza in quanto possono essere, rispetto ai brand, meno efficaci e/o peggio tollerati. Il problema della tollerabilità dei generici è stato frequentemente segnalato in letteratura e dipende soprattutto dal fatto che gli eccipienti possono essere diversi dal brand. 

Gli eccipienti infatti non sono sostanze inerti, ma possono interagire con le molecole attive e produrre in alcuni pazienti fenomeni di intolleranza e allergia (Journal of Applied Pharmaceutical Science 01 (06); 2011: 66-71).

 

Come detto in precedenza l’aderenza al trattamento dipende da efficacia, tollerabilità del farmaco. Considerando solo gli aspetti clinici, quindi, l’aderenza alla terapia con i farmaci brand potrebbe risultare più alta per le cause viste in precedenza.

L’indice di aderenza del brand, nei fatti, può ridursi quando il paziente deve contribuire all’acquisto di un farmaco. La conseguenza è che l’utilizzo del farmaco brand potrebbe essere penalizzata da una questione puramente economica. La conferma che l’eventuale minore aderenza osservata con il branded dipenda da un fattore economico è provato da uno studio condotto negli Stati Uniti (Am J Manag Care. 2009 July; 15(7): 450–) che ha evidenziato che l’aderenza alla terapia ipertensiva sarebbe sensibilmente migliore col brand rispetto al generico, quando il brand viene fornito gratuitamente ai pazienti.

 

Quali i costi clinici ed economici della non aderenza?

Naturalmente solo livelli elevati di aderenza e persistenza consentono di ottenere tutti i vantaggi ottenibili con la terapia. La letteratura scientifica dimostra inequivocabilmente che al ridursi del livello di aderenza aumenta il rischio di ricoveri in ospedale e come conseguenza diretta di ciò, aumentano i costi sanitari. Nel campo delle malattie croniche quali diabete, ipertensione, ipercolesterolemia, i dati degli studi clinici sono inequivocabili: i pazienti aderenti alle terapie mostrano una riduzione del rischio del 50% circa rispetto ai non aderenti. Dato che una parte preponderante dei costi (oltre il 75%) di queste patologie dipende proprio dalle complicanze, prevenirle con una terapia efficace comporta una riduzione dei costi (oltre agli indubbi vantaggi in salute).


È sicuro passare, durante una terapia, da un farmaco branded ad uno generico? Se no, perché? Può segnalarci casi di fallimento terapeutico? (con fonti relative)

Il passaggio dal branded al generico, è stato oggetto di numerosi editoriali nella letteratura scientifica. È stato, ad esempio, osservato da uno studio eseguito in Canada (Anderman F, Duh MS, Gosselin A, Paradis PE. Compulsory generic switching of antiepileptic drugs: high switchback rates to branded compounds compared with other drug classes. Epilepsia. 2007;48:464-469) che circa il 20% dei pazienti epilettici passati dal branded al generico, ha accusato di nuovo crisi epilettiche. Dati analoghi sono stati segnalati per le malattie psichiatriche: pazienti ben controllati dal branded, presentavano un peggioramento dei sintomi quando passati al generico.

Identici fenomeni sono stati segnalati anche per molti antibiotici. Naturalmente, evidenziare gli stessi eventi passando dal brand al generico è semplice quando il paziente presenta immediatamente dei sintomi. Più complesso è il caso di terapie preventive che non agiscono su sintomi (ad es. la terapia dell’ipertensione, del diabete, delle dislipidemie) anche se alcune segnalazioni le possiamo ritrovare in letteratura.

Oltre a questo, esiste anche un problema di diverso aspetto delle compresse e della scatola che, specie in soggetti anziani che da anni assumono gli stessi farmaci, può generare confusione. In Italia, infatti, la legge delega al farmacista la scelta del generico da consegnare al paziente che ogni volta si può trovare ad assumere farmaci di aspetto differente. 

 

Esiste anche un altro fattore da evidenziare: la bioequivalenza di ciascun generico viene testata verso il brand, ma i generici non vengono confrontati tra di loro. Potrebbe succedere, quindi, che il paziente si veda somministrare di volta in volta generici non bioequivalenti tra loro con eventuale impatto sull’efficacia e/o tollerabilità del trattamento. Negli USA i medici dispongono di un libro in cui sono indicati i generici tra di loro bioequivalenti, mentre in Italia al momento non esiste nulla di simile.