Dopo l’attentato ai pozzi petroliferi in Arabia Saudita esiste un rischio di conflitto? I sauditi hanno definito l’accaduto ccme un atto di guerra ed, in realtà, è proprio quello che sembra, anche...

Estero postato da monitoreinter || 4 anni fa

Dopo l’attentato ai pozzi petroliferi in Arabia Saudita esiste un rischio di conflitto? I sauditi hanno definito l’accaduto ccme un atto di guerra ed, in realtà, è proprio quello che sembra, anche al di fuori delle considerazioni geopolitiche. D’altronde l’Arabia Saudita è realmente un paese in guerra, nello Yemen, contro i ribelli di religione sciita, per evitare una avanzata dell’Iran ai propri confini. Riad ha condotto questo conflitto in maniera violenta anche contro i civili, creando una situazione umanitaria gravissima, dove, dopo le armi, le condizioni sanitarie ed igieniche, provocate dal conflitto, hanno contribuito ad aumentare il numero delle vittime. In questo quadro una rappresaglia degli sciiti yemeniti, anche se deprecabile, rientra nella logica del conflitto, che, come riconosciuto dai generali sauditi interrogati sui massacri dei civili, hanno risposto che rientravano negli effetti collaterali di una guerra. Quindi l’Arabia Saudita non dovrebbe essere troppo sorpresa da un atto di ritorsione. Chi ha colpito gli impianti sauditi ha, però, allargato il conflitto ad obiettivi economici, che risultano anche simbolici. L’Arabia Saudita ha costituito tutta la sua ricchezza sulla produzione ed esportazione di greggio e colpire il suo impianto principale equivale a dire che le forze armate del paese sono troppo deboli per difendere l’economia saudita, cioè l’attentato ha dimostrato un paese che è una è potenza economica la cui forza militare è però poca cosa. Del resto la guerra contro i ribelli yemeniti sembra molto lontano dalla conclusione, malgrado gli sciiti dello Yemen non siano una forza regolare. Da qui si arriva direttamente a chi ha rivendicato l’attentato: gli stessi ribelli sciiti dello Yemen, che pure si sono dimostrati un nemico ostico nelle operazioni militari tradizionali, non sembrano essere attendibili come organizzatori di un atto di tale portata, almeno non da soli. Se l’Iran, che è il principale indiziato, si limitato a fornire il materiale e la consulenza per metterlo in pratica, lasciando l’attuazione pratica agli sciiti dello Yemen, non è rilevante. Una implicazione di Teheran mette veramente a rischio la pace in tutta la regione, con conseguenze sull’intero pianeta. L’Arabia Saudita, però, come abbiamo visto, non ha alcuna capacità militare di confrontarsi con Teheran e qui entrano in gioco gli Stati Uniti, nella scomoda posizione di maggiore alleato di Riad. Per Washington la questione centrale è non apparire debole di fronte agli alleati ed anche di fronte ai nemici. Un qualsiasi atto di rappresaglia contro l’Iran, anche un episodio isolato e dimostrativo, potrebbe scatenare un conflitto più ampio, sopratutto in sconsiderazione degli attuali difficili rapporti tra i due stati. Nonostante le pressioni arabe ed anche di Israele, l’atteggiamento americano appare improntato alla prudenza. La tattica di Washington potrebbe essere, inizialmente, quella di inasprire le sanzioni contro il paese iraniano, per poi procedere con una pressione diplomatica da parte di più paesi per arrivare ad una sorta di definizione della situazione. La Casa Bianca ha delle responsabilità indirette se dietro l’attentato ci fosse l’Iran: le sanzioni economiche hanno colpito specialmente le esportazioni del greggio iraniano ed hanno provocato una grave recessione economica; se si considerano tutti questi fattori l’attentato al centro petrolifero saudita assume un ulteriore valore simbolico. La situazione di tensione è stata creata dall’attuale presidente americano, che dietro le richieste di Arabia Saudita ed Israele, non ha mantenuto fede all’accordo firmato dal precedente presidente americano, sul nucleare iraniano. I presupposti di un conflitto ci sono tutti, tuttavia tutte le parti  in causa sono consapevoli delle conseguenze: per ora l’Iran, se non attaccato, eviterà altre dimostrazioni di forza, cercando di giocare a proprio vantaggio l’instabilità che si è venuta a creare per ottenere, almeno, minori sanzioni; gli Stati Uniti non hanno sicuramente interesse ad essere impegnati ad un ulteriore conflitto, ma di una portata ben peggiore di quelli in cui sono stati impegnati finora e cercheranno una via d’uscita diplomatica. Resta l’Arabia Saudita, la cui immagine e prestigio internazionale esce sensibilmente peggiorata e ciò potrebbe provocare risentimento contro gli Stati Uniti, che devono prestare attenzione ad un alleato che ha appoggiato più volte il fondamentalismo islamico, arrivando ad usarlo per i propri scopi.

Fonte: https://monitoreinternazionale.blogspot.com/2019/09/esiste-il-pericolo-di-un-conflitto.html