- cultura musicale degli Usa negli anni 50 - Beatles e Televisione - Creazione di un mito - I video musicali

Musica postato da ilgattohanuovecode || 13 anni fa

I Beatles: antenati del video musicale

La sottocultura giovanile che si era affermata negli Stati Uniti alla metà degli anni cinquanta con il suo carico di ribellione e trasgressione contagiò nei primi anni sessanta anche l’Europa. Questo clima assieme al nuovo sound concepito da Elvis Presley influenzò un altro gruppo musicale destinato a fare non solo la storia della musica ma anche e soprattutto la storia del costume: i Beatles! Questi quattro ragazzi, che nel 1959 si esibivano al Cavern Club di Liverpool con un look che ricordava i Rockers e le gang giovanili, poteva attrarre un piccolo pubblico di teenagers insofferenti ma non sembravano di certo destinati a diventare star internazionali della musica. E qui entra in gioco un altro grande manager, Brian Epstein, che operò un accurato lavoro d’immagine sugli emergenti John, Paul, Ringo e George fino a trasformarli completamente dandogli un aspetto rassicurante, dei modi disciplinati ed un abbigliamento ordinato.

“Brian ha cercato di ripulire la nostra immagine. Diceva che il nostro look non andava bene e che non saremmo mai riusciti a passare attraverso le porte giuste. Noi ci vestivamo semplicemente come ci pareva, sullo stage e fuori. Lui ci ha introdotto al mondo dei begli abiti […] noi ci imbarazzavamo a essere così puliti, in quei nostri completi inamidati. Ci preoccupava il fatto che i nostri amici pensassero che ci fossimo svenduti – cosa che, in qualche modo, abbiamo fatto”

Anche in questo caso fu la televisione a proiettare il gruppo di Liverpool su scala internazionale. La loro performance al London Palladium del 1963 fu trasmessa in TV e seguita da ben quindici milioni di telespettatori. Nello stesso anno i Beatles parteciparono, all’ <<Ed Sullivan show>>, lo stesso programma che anni prima aveva lanciato Elvis Presley, rendendolo protagonista indiscusso della scena musicale USA. Anche per il gruppo inglese quest’apparizione fu un ottimo trampolino per farsi conoscere dal pubblico americano. La perfomance fu studiata accuratamente dal regista del programma, Tim Kiley, che aveva predisposto che ad ogni cambio di accordo corrispondesse un cambio di inquadratura, per cui anche la ripresa aveva un andamento ritmico e movimentato. Inoltre per la prima volta nella storia della TV, la macchina riprendeva, non solo i musicisti ma anche il pubblico in delirio. Oggi non c’è performance live o ripresa da concerto in cui non compaiono folle urlanti, ma per quegli anni era una novità assoluta. Nel 1965 venne lanciato, all’interno del programma in mondovisione <<Our World>>, il nuovo pezzo composto da Lennon “All you need is Love” . Questa performance, pur non essendolo a tutti gli effetti, si può considerare un videoclip. Le riprese sono all’interno degli studi della BBC scenografati con cuori, palloncini e decorazioni floreali, e anche l’abbigliamento dei Fab four si adatta a quello scenario. La macchina da presa prende in successione i musicisti, i cantanti e una cerchia di amici che fa da coro (tra cui un giovanissimo Mick Jagger). Nella seconda metà degli anni sessanta cominciarono a comparire una serie di programmi televisivi tematici che trasmettevano le perfomance live degli artisti Rock: << Top of the Pops>> e <<Thank you lucky stars>> in Inghilterra e <<Hullabaloo>> negli Stati Uniti. L’impossibilità di presenziare a tutti gli show portò i Beatles ad immettere sul mercato i primi videoclip della storia, girati con due camere all’interno dei Pinewood studios di Londra che il quartetto fittava per l’occasione. Inoltre l’industria del suono faceva notevoli progressi nel campo delle tecniche di registrazione, il “multi piste”, ad esempio, prese il posto del tradizionale “doppia traccia” apportando degli ottimi risultati per le incisioni in studio ma non poteva essere applicato alle performance live. Ai Beatles va il merito di aver riconosciuto l’importanza dell’impatto visivo su un brano musicale e l’enorme diffusione che la televisione poteva dare. Certamente alla fine degli anni sessanta il gruppo di Liverpool non aveva bisogno di promozione, ma fu proprio in quel periodo che realizzò i videoclip più significativi.

“Quando capimmo che si poteva creare un video per poi mandarlo in TV, iniziammo anche a fare buon uso della nostra immaginazione. Mi ricordo quella sera in cui in un locale incontrammo un regista svedese che ci disse: <<Possiamo far qualcosa di veramente fuori, sapete, qualcosa di pesante, psichedelico, con voi su di un albero>> e noi: <<Si hai capito tutto eccoti un altro bicchiere di vino>>. Da lì nacque il promo per Strawberry fields forever, che per quei tempi era molto fuori. Poi abbiamo semplicemente continuato. Diventammo veri fanatici, ci piaceva l’idea di metterci addosso vestiti strani e attraversare le stanze cavalcando cavalli bianchi”.

Sotto la direzione del regista svedese Peter Goldmann nel 1867 i Beatles realizzarono dei video che avevano uno scopo non solo promozionale ma anche e soprattutto espressivo. “Strawberry fields forever”, di cui parla Mc Cartney, è avvolto da un’atmosfera surreale. Vediamo il quartetto inglese intento ad accordare strumenti sospesi su di un albero, i loro movimenti non sono naturali (grazie ad accorgimenti come slow motion e reverse motion) così come non sono naturali le luci e i colori. Tutti questi elementi, assieme alla musica, concorrono a proiettare lo spettatore in una dimensione onirica di forti suggestioni. Meno bizzarro ma altrettanto fantasioso è il video di “Penny Lane”, in cui i Fab four si aggirano per l’omonima strada in una situazione abbastanza realistica per poi finire catapultati in un altro sogno, in cui compaiono cavalli bianchi e damerini che servono in tavola strumenti musicali al posto delle portate. Dopo queste sperimentazioni I Beatles continuarono la produzione di video musicali, tra cui quello per “Magical Mystery tour” in cui curano da soli la regia, o quello per “Hey Jude”, ma pochi raggiunsero la completezza espressiva di quelli realizzati da Goldmann. Qualche altra sperimentazione interessante la intraprese successivamente Lennon, con il contributo della moglie Yoko Ono, che, non a caso, proveniva dall’esperienza Fluxus. Un movimento che dai primi anni sessanta teorizzava lo sconfinamento tra i vari ambiti artistici, in particolare la musica, la poesia, la danza e le arti visive e che realizzava le proprie idee attraverso Happening e performance non sempre riuscite ma sicuramente interessanti per comprendere lo spirito del tempo.

Così come Elvis anche i Beatles ci hanno lasciato un’intensa produzione cinematografica. Sotto la regia di Richard Lester il gruppo di Liverpool realizza “A Hard Day’s Night” (Tutti per uno, 1964) e “Help!” (Aiuto!, 1965). Nel primo film l’idea iniziale di Lester era quella di realizzare una sorta di documentario sulla band, ma lo spirito e la musica dei Beatles presero il sopravvento trascinando il progetto in un vortice irreale in cui dominavano il ritmo e la musica. In “Help!” il regista adotta lo stesso linguaggio surreale portandolo ancora più all’estremo. L’esecuzione del brano “Help!” inserita all’interno del film viene ad essere un vero e proprio videoclip. Nel ’68 esce “Yellow Submarine” (Il sottomarino giallo, 1968), un lungometraggio d’animazione realizzato da George Dunning, senza la presenza dei Fab Four. Il risultato è una riuscitissima combinazione di musica, colori, ritmo ed ironia. La trama naturalmente è quasi in esistente ma quello che prima di tutto colpisce è la grande forza espressiva delle immagini che assumono significato in sé stesse tagliando fuori la narrazione: in alcuni tratti sembra che sia il racconto a seguire l’andamento delle immagini e non viceversa, in altri le parole vengono disegnate, così da poter essere “viste” piuttosto che “ascoltate”. Il linguaggio sperimentato da Dunning in “Yellow Submarine” verrà largamente utilizzato, come vedremo, nella realizzazione dei moderni videoclip.

“Più che per la creazione di un contesto romanzesco-reale che la macchina riprende e che include l’occasione per il canto, il canto stesso offre l’occasione per la composizione, sia nelle inquadrature sia nelle sequenze, di immagini di grande sensibilità cinematografica. Separate dagli omaggi documentaristici determinati dalla realtà del loro soggetto, le immagini guizzano e indugiano; la prospettiva danza al proprio ritmo; il montaggio segue la propria cadenza


John Lennon, in Linda Berton, Videoclip, Milano 2007

Paul Mc Cartney, in Linda Berton, Videoclip, Milano 2007

Umberto Mosca, in Simone Arcagni e Domenico De Gaetano, Cinema e rock, Santhià 1999

 

Fonte: http://www.ilgattohanuovecode.it